La Pop tesserArt 2012

12 10 2011

Se è vero com’è vero che la pop art nasce dall’incontro tra arte e mass media, e che si basa su rappresentazioni superficiali di cose o persone assurti a miti per essere consumati come merendine, con la ripetitività quasi ossessiva di forme prive di contenuto, di svuotamento interiore in virtù dell’idolatria di un’estetica alla mercé del popolo, quale soggetto, sia essa cosa o persona, se è vero tutto questo, allora è altrettanto vero che la nostra mascotte, negli anni 60, non era ancora nata.

Perché possiamo trovare un milione di accidenti di parole per spiegare la pop art ma, Andy Warhol, che era Andy Warhol, non l’ha mica scelta per caso Marilyn Monroe quale soggetto della sua opera. Sarà anche stata un icona del consumismo (una gran icona, se mi passate l’accrescitivo) però, insomma, la sua orca figura la faceva eccome.

Quindi, tutto ciò premesso, cosa ci impedisce di pensare che se il buon Andy avesse conosciuto Volontà Rino, con tutto il suo popò di significato recondito, non lo avrebbe assunto quale modello di una sua pop opera? Purtroppo per lui il tempo è scaduto. Ma non per noi.

Grazie Andy. Sì, la prossima tessera sarà una vera e propria opera di pop art. Forse più pop che art, però… vuoi mettere che soddisfazione averla in tasca?

E poi, se qualcuno volesse appenderla al muro, possiamo farne anche una versione poster…





Un doppio senso controsenso 2

9 10 2011

Sull’ultimo numero de “Il Mare” appare un articolo relativo alla rotonda di Siggi, e al previsto doppio senso in Via Arpinati, nel quale l’autore rammenta che, se è vero che in zona gravitano i Volontari del Soccorso, è pur vero che eventuali disagi derivanti dal doppio senso potrebbero essere attenuati, se non eliminati del tutto, grazie ai “dovuti accorgimenti”. (l’articolo è raggiungibile cliccando qui)

Or bene, nel ringraziare il buon Emilio Carta per essersi ricordato della nostra gravitazione in zona Sant’Anna, vorremmo prenderci due righe per sottolineare brevemente alcuni punti che ci sembrano fondamentali e che forse, a quanto pare, non sono stati chiariti a sufficienza.

I problemi derivanti da un eventuale doppio senso di circolazione sulla via Arpinati non sono (solo) quelli che interesserebbero i Volontari del Soccorso (sebbene comunque ingenti), bensì le centinaia di famiglie che in Via Arpinati e dintorni vi abitano.

Lo abbiamo già ribadito più volte: quella strada è stretta e iper trafficata; i marciapiedi, dove esistono, sono piccoli e stretti; gli accessi laterali sono tanti, come le attività commerciali che per andare avanti abbisognano di uno spazio libero davanti alla propria sede; i parcheggi, quei pochi, sono preziosi; gli attraversamenti pedonali, tutti e due, servono agli anziani e ai bambini che vanno a scuola e, guardateli con attenzione, è già difficile usarli oggi per passare da una parte all’altra della strada, figuriamoci con il doppio senso.

Insomma i Volontari, se proprio vogliamo, sono quelli che bene o male riuscirebbero a cavarsela meglio di tutti. Visto che per definizione si adattano alle circostanze.

Ecco: quel che volevamo dire al direttore de “Il Mare”, pur ringraziandolo per la sua attenta considerazione nei nostri confronti, è che tale considerazione andrebbe rivista e rivolta verso tutta la collettività della zona, perché sarà la collettività intera ad essere seriamente danneggiata. Sarebbe comunque curiosamente  interessante scoprire cosa intenda quando parla dei “dovuti accorgimenti” sufficienti, a suo dire, per lenire i disagi (Semafori? Rallentatori? Limiti di velocità? Oppure che dovremo guardare a destra e a sinistra prima di attraversare invece che da una parte sola?) ma, forse, è meglio lasciar perdere e fermarci qui. In fondo non è nostro compito andare oltre.

Comunque sia, è vero. Noi volontari siamo profondamente preoccupati da questo insano progetto. Abbiamo il dovere di esserlo, per istinto di conservazione, per autodifesa, per voglia di vivere e di lavorare bene. E’ un’assurdità che ci danneggerebbe moltissimo su svariati fronti. Tuttavia, per vocazione, siamo ancor più preoccupati non tanto per noi stessi quanto per gli altri. La vena altruistica e solidale che appartiene al nostro dna ci spinge, forse inconsciamente, a difendere e soccorrere i soggetti più deboli di noi, quelli che, purtroppo, nessuno prende più in considerazione, come cinicamente dimostra il citato articolo de “Il Mare”. Perché gli altri, i deboli, i bambini, gli anziani, i disabili, i lavoratori della zona, quelli che hanno una finestra o un balcone su Via Arpinati, quelli che agiscono da soli e, come tali, non fanno paura a nessuno e quindi nessuno li ascolta, essi tutti ci sono, esistono, e in silenzio sopportano ogni angheria con dignitosa rassegnazione. Difendere loro è l’unico modo che abbiamo per difendere noi stessi e, ci crediate o meno, si tratta di un grandissimo privilegio.

Certo, dice bene Emilio Carta: meglio sperimentare idee nuove che stare con le mani in mano ad aspettare Godot. Ma se, diciamo noi, facendo lavorare le mani la situazione diventa peggiore di quel che era prima (vedi rotonda autostradale: la causa di tutto) allora, santo cielo, aspettiamolo pure questo Godot… e dio ci scampi dal suo arrivo.





Un doppio senso controsenso

17 08 2011

Non che ci manchino le cose a cui pensare, a noi Volontari del Soccorso. E nemmeno è che abbiamo il tempo di chiacchierare amabilmente del più e del meno, di calcio o del sole, tanto per fare un esempio, giacché il lavoro non ci manca. Il lavoro, quando si fa gratis, non manca mai. Simpatica ironia della realtà.

Tuttavia quando intorno a noi capitano cose che ci coinvolgono in maniera così diretta, in prima persona, e vanno a stravolgere un ordinario quotidiano celebrato da lustri di consuetudini, non possiamo esimerci dal dovere civico d’esprimere almeno un’opinione.

La vocazione apolitica del nostro statuto non deve costituire un freno all’esercizio di un diritto sacrosanto come quello della partecipazione democratica. Soprattutto laddove tale partecipazione si limita a coniugare la sua forma più semplice e basilare: cioè, dire quello che si pensa su una cosa che ci riguarda. Tacere per non fare politica, a nostro avviso, sarebbe umiliante per la nostra dignità di cittadini giuridici e offensivo per il principio stesso di democrazia del quale siamo diretta emanazione. Un doppio autogol che non farebbe onore a nessuna delle interpretazioni possibili che i lettori formuleranno al termine di questo articolo. Qualunque essa sia.

Quindi oggi parleremo. Lo faremo senza prendere le parti dell’uno o dell’altro, senza schierarci per una fazione o per il suo antireciproco. Ma parleremo.

Parleremo perché qualcun altro lo sta già facendo da tempo. Stanno parlando di noi e dei nostri vicini di via Arpinati in maniera implicita. Siamo stati inseriti, in forma passiva e impersonale, all’interno di discorsi sui massimi sistemi, aventi per soggetto nomi altisonanti e per oggetto grandi soluzioni della viabilità rapallese, come se noi non avessimo la soggettività necessaria per rientrare in una categoria in grado di coniugare verbi. Li coniugano gli altri per noi. Pensano, progettano e fanno in nostra vece. Senza chiederci nulla.

Avrete già capito che stiamo parlando della rivoluzione del traffico che prossimamente interesserà tutta la zona di Sant’Anna. Ripetiamo: non entriamo nel merito del chi e del perché (ci rendiamo conto che, se siamo giunti a questo punto, è evidente che non esistono altre soluzioni in grado di essere adottate), però su una cosa non possiamo tacere: il doppio senso di circolazione in Via Arpinati.

Si tratta di una soluzione che ci complicherebbe, e non poco, la vita. Via Arpinati è stretta, trafficatissima in qualsiasi ora del giorno e della notte, ha i marciapiedi piccoli e un sacco di accessi laterali. Ha alcuni terrazzi dei primi piani molto bassi sulla carreggiata e diverse attività che richiedono, per loro stessa natura, una sosta anche solo momentanea sul margine della strada (meccanici, gommisti, ecc., per non parlare del nostro ambulatorio sanitario). E poi ci sono le scuole e l’asilo e i bambini che devono passare da una parte all’altra almeno tre volte al giorno. Una via, insomma, che già adesso viaggia al massimo delle sue possibilità. Ce ne accorgiamo ogni volta che la dobbiamo attraversare per raggiungere le ambulanze o quando, con le stesse ambulanze, dobbiamo uscire dal parcheggio. Se dovessimo compiere queste operazioni con il doppio senso di circolazione sarebbe ogni volta un’avventura.
Oltre a mettere a repentaglio la nostra incolumità si creerebbero situazioni di pericolo per tutti.

Il progetto che ci vede coinvolti, e che da bravi soggetti passivi abbiamo conosciuto per caso, prevede che via Arpinati diventi a doppio senso di marcia in modo da realizzare una corsia in più per chi proviene da Piazzale Genova. L’operazione dovrebbe ridurre la lunghezza della colonna in uscita all’interno dell’autostrada, facilitando lo smaltimento dei veicoli diretti a Santa Margherita Ligure. Anche se non capiamo perché il nostro comune lavora per i cittadini di Santa Margherita (nulla contro di loro, per carità, però… ci sembra un “contro senso”), in generale l’idea potrebbe anche funzionare. Non tocca certo a noi giudicarlo. Ma, anche se fosse un’idea meravigliosa, a che prezzo? E perché dobbiamo pagarlo noi? E, soprattutto: perché nessuno ci ha mai chiesto cosa ne pensiamo?

E’ chiaro che un’amministrazione cittadina nel portare avanti un progetto di tali dimensioni non può ascoltare e accontentare proprio tutti. Siamo in troppi e ognuno la pensa a modo suo. Come per il depuratore: tutti lo vogliamo purché non sia vicino a casa nostra. Comprendiamo la difficoltà politica dell’amalgamare le esigenze prioritarie della collettività con gli interessi personali di coloro che della stessa collettività fanno parte. Tuttavia non riusciamo a tollerare il fatto che decisioni di così ampio respiro vengano adottate senza per lo meno informare i diretti interessati. La stessa democrazia che conferisce il mandato agli amministratori locali include in sé l’implicito dovere di coinvolgere i cittadini quando un territorio viene drasticamente modificato, seppur per un nobile fine come quello della proclamata sicurezza stradale. E se, poi, quei cittadini diventano tanti e riescono a manifestare un loro disappunto, motivato e circostanziato, ragionato e dimostrato, disinteressato e costruttivo, allora, forse, da qualche parte potrebbe anche spuntare l’obbligo di ascoltarli. E di fare marcia indietro.

Comunque sia, la zona di Via Arpinati conta migliaia di abitanti. Noi Volontari siamo quasi 4.000 soci. Qualcosa da dire in merito ce la potremo pur avere. Insomma, tanto per cominciare una telefonata potevano anche darcela. No?





Tanti auguri, Volontari

10 07 2011

Come ogni anno, anche quest’anno è arrivato il 10 Luglio. Il compleanno dei Volontari del Soccorso. C’è poco da fare, ogni giorno che arriva racchiude in sé il ricordo di una genesi, sia essa riferita alla nascita di una persona, a quella di un’istituzione o un evento particolare e questa domenica, tra le altre cose, c’è pure quella dei Volontari.

Oggi i Volontari del Soccorso compiono 42 anni. Considerato che non ci sono aspettative medie di vita per le associazioni di volontariato, non posso dire se 42 anni siano tanti o pochi. Forse sono tanti per chi, fino ad oggi, si è fatto in quattro al fine di realizzare un sogno; per chi ha sudato nelle riunioni; per chi non ha dormito nelle notti di squadra; per chi si è ostinato a portare avanti un’idea nuova, contro tutto e contro tutti. Insomma per chi ha fatto l’impossibile, bene o male, nell’intento di migliorare la società in cui viveva.

E probabilmente sono pochi, invece, per chi da domani inizierà a farsi in quattro per consentire a questo sogno di non smaterializzarsi nell’universo del mondo che verrà; per chi riceverà il testimone da portare nel suo futuro, immaginando quel futuro infinito nel tempo e nello spazio; per chi voltandosi indietro vedrà “appena” 42 anni di storia, ma guardando avanti non percepirà nemmeno l’orizzonte della sua nuova destinazione, da quanto lontana, ambiziosa e meravigliosa potrà essere.

In ogni caso, tanti o pochi siano 42 anni, la linea di confine tra il prima e il dopo, tra il passato e il futuro, tra l’ieri e il domani, è adesso. E’ oggi. Siamo noi. E si chiama presente.

L’illusione più ingannevole sul presente è quella che sia immutabile, sempre uguale a sé stesso. In realtà nulla è più sbagliato di questo concetto poiché nulla è più cangiante dell’idea stessa di presente.

Il presente è un attimo talmente sfuggente da diventare effimero persino nella memoria del suo ricordo. Non è possibile analizzarne la durata perché non ne ha. Dal momento che lo osservi diventa passato. Un attimo prima che lo fai è ancora futuro.

Ebbene, che ci crediate o meno, è proprio in questa totale impalpabilità del presente, nella sua eterea consistenza, che tutte le cose accadono. Tutto ciò che esiste, che è nato, che è vero, si è realizzato in un tempo che, al momento dell’evento, era il presente. Il suo presente. Lo stesso presente infinitamente infimo di cui parlavamo prima. E fa venire la pelle d’oca pensare come in un alito di tempo talmente impercettibile da non poter nemmeno essere misurato senza modificarne non solo la sostanza ma addirittura il nome, in quell’infinitesimo di attimo tutto il reale abbia avuto origine. Io, voi, la macchina a vapore, il cinescopio, il tostapane, il fiume Po’, i Volontari del Soccorso di Rapallo, la bomba atomica. Tutto nato in un lontano presente, ma vissuto e vivente nel passato dei ricordi e nel futuro delle ipotesi.

Da una parte ciò che è stato, dall’altra ciò che sarà. Due universi complementari, due emisferi separati e allo stesso tempo uniti dalla sottile e sinuosa saldatura del presente, che come un cordolo ne ricama la superficie.

Bene, io mi trovo esattamente sul bordo impercettibile di quel cordolo, ora, mentre sto scrivendo le righe che avete davanti. Sono a cavalcioni della linea di confine tra il passato e il futuro dei Volontari del Soccorso e, dal mio punto di vista privilegiato, posso osservarne i due universi temporali; ma, ahimè, non posso fare a meno di accorgermi che la mia posizione è talmente precaria e scomoda da farmi perdere l’equilibrio. Sì, sto scivolando e sto cadendo giù: verso il basso, verso sinistra, verso il passato.

Credo sia inevitabile e, in cuor mio, ritengo un dovere d’onestà intellettuale dichiararlo almeno un attimo prima che accada: ormai faccio parte del passato dei Volontari del Soccorso. Non ne rappresento più il presente e, per quanto posso vedere da qui, nemmeno il futuro. Ci sono fasi della vita che sanno farsi rispettare e, anche se tu non lo vorresti e per quanto tenacemente tu possa lottare, alla fine bisogna arrendersi. Piaccia o non piaccia.

Non esito ad ammettere che il tempo e le energie che oggi, in questo presente, dedico ai Volontari del Soccorso sono pressoché ridicoli se paragonati a ciò che i Volontari sono e, soprattutto, a ciò che si meritano. Lo so. So anche che continuare a rivestire la carica di Segretario, nonostante tutto, può essere considerata alla stregua di usurpazione di titolo, se non peggio. Tale situazione non è totalmente conforme alle direttive della mia volontà, ho tentato di porvi rimedio, anche solo a livello formale, ma certi percorsi possono essere più tortuosi di quel che si può immaginare e, senza stare a spiegare i come e i perché, continuerò a fregiarmi della carica, ancorché senza merito, sino al termine naturale del mio mandato, previsto tra pochi mesi. Poi si vedrà. Tuttavia me ne assumo ogni responsabilità, scusandomi con tutti coloro che, giustamente, osservano, riflettono e giudicano.

Tutto qui. Mi sentivo in dovere di dire queste cose e, un po’ ruffianamente forse, ho colto l’occasione dell’anniversario dei Volontari per farlo, visto e considerato che è ai Volontari che dovevo dirle. Il compleanno è il momento in cui ci si riunisce, si festeggia e si fanno i bilanci. Tutte cose che non possono avvenire senza la franchezza di ammettere gli errori o le inadeguatezze. Tutti siamo utili ma nessuno è indispensabile: e quando con tale affermazione ci si riferisce a noi stessi, vi garantisco, fa un certo effetto declamarla con nonchalance. Però ci sono momenti in cui bisogna farlo. E credo che in fondo, questo, sia il modo più vero per augurare un ottimo futuro a chi, ne sono sicuro, saprà trasformare il proprio presente in un passato sempre più grandioso.

 

Ciao Volontari, tanti splendidi auguri.

Luca

 





Ospedale: dove eravamo rimasti?

7 07 2011

Dove eravamo rimasti?

Questa era la frase con cui un famoso presentatore riprendeva il suo ciclo di trasmissioni televisive.

Noi invece vediamo dove eravamo rimasti con l’ Ospedale di Rapallo anche alla luce dei recenti eventi (leggi qui su Il Secolo XIX).

La chiusura della centrale 118 di Lavagna era nell’ aria da tempo e adesso si è concretizzata, al di là delle proteste di facciata dobbiamo riconoscere che l’anomalia era la centrale fuori dalla normativa nazionale che prevede la dislocazione su base provinciale.

Ovvio che la stretta dei finanziamenti sia stata la molla che ha spinto l’ Assessore a compiere un passo che sicuramente gli garantirà un sacco di nemici, ma che non poteva essere rimandata se si vuol cercare di far quadrare bilanci sempre più asfittici.

La questione bilanci influisce anche sull’ Ospedale di Rapallo, il recente riparto dei finanziamenti regionali tra le varie ASL ha ulteriormente tagliato la quota di finanziamenti, siamo così sicuri di poter riempire questa struttura gigantesca e nuova.

Noi su queste pagine avevamo sollevato questo dubbio, forse avevamo visto meglio di altri ?

Un’altra questione che riprendiamo dai mesi scorsi, i rendez-vous. Continuano ad essere fatti sulla strada in mezzo ai materiali edili, ma è proprio così scomodo questo Primo Intervento?

Non possiamo far entrare le ambulanze per far visitare i pazienti in modo decoroso?

Non vogliamo che le ambulanze arrivino a Rapallo per evitare di dover far prendere in carico i pazienti ai sanitari della struttura?

Vuol forse dire che nell’ utilità di questo primo intervento non credono nemmeno i sanitari che dovrebbero farlo funzionare?

Chissà se il trasferimento a Genova porterà qualche novità.

CP





Ospedale di Rapallo: domande e dubbi…

23 03 2011

Alle fine di gennaio, a pochi giorni dall’ apertura dell’ Ospedale di Rapallo o meglio dell’ Ospedale Nostra Signora di Montallegro, ci si interrogava sulla questione dei rendez-vous tra ambulanza e automedica presso la rivendita dei materiali edili a lato della nuova rotonda. Si ipotizzavano problemi legati alla messa a regime del nuovo polo ospedaliero o a problemi di competenze tra medici. (clicca qui per leggere il post)

A distanza di due mesi non è cambiato nulla.

I rendez – vous continuano ad essere eseguiti in mezzo ai mattoni e al cemento, il Primo Intervento continua a non ricevere le ambulanze perché la C.O. non le invia e continua ad esserci il personale dell’ Automedica, che nelle intenzioni dei dirigenti dell’ ASL doveva “supportare il personale del primo intervento”,  sottoutilizzato o meglio utilizzato come prima (ma allora non poteva rimanere dov’era?).

Ora, a distanza di qualche tempo qualche domanda sorge spontanea.

Al di fuori delle dichiarazioni di facciata, l’ ASL crede nell’Ospedale di Rapallo o forse sposa la linea dell’ Assessore Regionale Montaldo che ha dichiarato che l’Ospedale “non serve e che se fosse per lui non lo avrebbe fatto ma avrebbe ampliato Lavagna” ? (vedi ritaglio allegato)

O magari non ci sono le risorse per poter fare funzionare al meglio un ospedale dimensionato quando c’erano altre risorse e aspettative?

Il consigliere Bagnasco, che quando era Sindaco di Rapallo è stato il promotore della costruzione, ricorda che l’ Ospedale è stato progettato secondo uno studio dell’ Università Bocconi di Milano.

Però questo era quasi dieci anni fa!

Dovremo forse ripensare qualcosa o ormai è tardi?    

CP





Otto personaggi in cerca di attori

25 02 2011

Gli ingredienti per un ambientazione da “giallo” ci sono davvero tutti: una pensione isolata della campagna inglese; una notte di tempesta, di vento, freddo e ghiaccio; l’immancabile omicidio, avvenuto poco prima e poco lontano per opera di un misterioso assassino; due giovani locandieri, Mollie e Giles Ralston, marito e moglie, alla loro prima esperienza; cinque ospiti un po’ particolari, ognuno con le sue caratteristiche stravaganti e, infine, l’immancabile e altrettanto eclettico ispettore della Polizia di Scotland Yard.

Otto simpatiche personcine, ognuna delle quali incarna un carattere tutto suo, un’individualità particolare e intima ma che ognuno di noi non farà fatica a riconoscere in qualche suo conoscente, amico, parente o, addirittura in sé stesso. Ecco qui di seguito una breve descrizione per ogni personaggio, chissà che non vi venga in mente qualcuno:

Mollie, una venticinquenne sprovveduta, coraggiosa, chiaramente destinata ad un’esistenza scomoda proprio per la sua decisa umanità;

Giles, suo marito, un classico giovanotto quadrato e serio, dotato di una gloriosa sicurezza;

Christopher Wren, intimorito dalla propria realtà, ma non della fantasia, né dell’orrore o dell’arte;

Signora Boyle, un’amante della rispettabilità ed esasperante scocciatrice, che scopre difetti in chiunque le capiti a tiro, ovviamente per nascondere a sé stessa il suo estremo squallore;

Signorina Casewell, irta, discontinua, chiusa e non sempre accattivante: una vittima che lotta amaramente per non esserlo;

Signor Paravicini, altrettanto problematico, ma quasi penosamente estroverso, con uno spirito cristiano molto sincero;

Maggiore Metcalf, misterioso maggiore in pensione,

Sergente Trotter, misterioso sergente di polizia di Scotland Yard.

Esatto: come avrete capito, stiamo aprendo una nuova sfida a tutti i volontari coraggiosi che vogliano mettersi in gioco recitando in teatro la commedia poliziesca “Trappola per Topi”, di Agatha Christie. Chi volesse provare a cimentarsi come attore in quest’avventura può partecipare alle audizioni che si terranno il giorno 5/3/2011 e il giorno 12/3/2011 presso la sede dei Volontari alle ore 18.00. La rappresentazione avverrà, se avverrà, intorno al periodo di Natale 2011 e il ricavato sarà devoluto in beneficenza. Ovviamente.

Potete scaricare il testo dei provini qui, ma se non siete interessati a partecipare come attori non leggetelo assolutamente! (è un giallo e non sempre l’assassino è il maggiordomo!)

Per informazioni contattateci al seguente indirizzo e-mail: quality@volontarirapallo.it





Rendez-vous: perchè non all’Ospedale?

31 01 2011

Inzio questo post con due premesse. Prima: non voglio cercare polemiche facili ma solo cercare di capire. Seconda premessa: questo potrebbe essere un argomento “tecnico” ma penso che interessi anche molti dei cittadini che usufruisono dei servizi sanitari e che risiedono nel Tigullio. Ma veniamo al sodo.

 

In questi giorni il nuovo Ospedale di Rapallo sta andando a regime con l’ apertura dei vari reparti e con l’ apertura del Primo Intervento. Secondo le disposizioni dell’ ASL4/Regione il primo intervento è deputato a trattare i codici verdi e bianchi, ovvero i pazienti non in pericolo di vita con patologie lievi. All’ interno della struttura è posizionata l’ automedica Tango 2 con competenze territoriali che vanno, in linea teorica, da Portofino a Zoagli. E questa è la situazione che tutti conosciamo e che nessuno contesta. Tralasciamo anche le varie polemiche sulla presunta carenza di personale e soffermiamoci sull’ operatività dell’ automedica. Secondo la politica della Centrale 118 di Lavagna l’automedica interviene sulle patologie più gravi o reputate tali dal personale medico presente in centrale. In alcuni casi però, valutando le comunicazioni che giungono dal personale dell’ ambulanza, la centrale dispone di eseguire un rendez-vous tra l’ambulanza e l’automedica per permettere al personale medico di valutare le condizioni del paziente prima di far proseguire l’ambulanza verso l’ ospedale. Quando l’ automedica stazionava presso le sedi delle Pubbliche Assistenze la cosa era abbastanza logica, in quanto a Rapallo vi è un’unica strada che porta al casello e l’ambulanza doveva per forza passare davanti ad una delle due Pubbliche Assistenze. Ora l’automedica è dentro l’Ospedale, questione assolutamente logica peraltro, ma perché occorre continuare ad eseguire rendez-vous sulla strada e precisamente a lato della rotonda davanti al casello? Non è più semplice e logico far andare l’ ambulanza sino all’Ospedale e far valutare il paziente lì? Dal punto dove si eseguono i rendez-vous all’ Ospedale ci sono 450 mt (fonte google-maps) e quindi non è questione di tempi di percorrenza. Non penso che ci voglia uno specialista per capire che eventuali manovre terapeutiche possano essere svolte meglio all’ interno del Primo Intervento che dentro il vano di un’ambulanza, con maggiore comodità sia per l’equipe medica che per il paziente. Tra l’ altro, la sosta in mezzo alla strada è certamente più rischiosa a livello di sicurezza che quella dentro la camera calda. Ci sono forse delle problematiche a livello burocratico che impediscono di far operare il personale dell’automedica all’interno della struttura ospedaliera? Perché, se questo fosse il problema, vorrebbe dire che la salute del paziente non è proprio al primo posto delle priorità del servizio. Oppure ci sono altre ragioni che non mi vengono in mente?

CP





Ricordi da Pinzolo 2011

25 01 2011

Ho provato a pensare di catapultarmi immediatamente al pc, aprire word, tentando “a caldo” di buttare giù quello che riesco a descrivere di questi giorni a Pinzolo.

La prima cosa? Quando arriva la 15° edizione? Un anno? Noooo dai… rifacciamolo il prossimo week end!

Per il sottoscritto era la prima volta, ma mai mi sarei aspettato una cosa del genere. L’organizzazione, ottima.
Per il numero di partecipanti, straordinario. Per come hanno accolto tutti noi, per come hanno preparato e continuato a gestire ogni singolo aspetto.
Come posso portarvi là, se non eravate con noi? Posso descrivervi i momenti o le sensazioni, posso ridere raccontandovi qualche episodio, farvi vedere qualche fotografia.

Provo a chiudere gli occhi, ci vuole un attimo, partono tutti i flashback dei momenti più belli. Iniziamo dal tempo, ultra clemente. Il comprensorio della Val Rendena, le piste di Pinzolo e di Campiglio hanno offerto ai nostri occhi panorami meravigliosi. Non si capiva se era più maestoso e straordinariamente bello il cielo limpido e azzurro sopra di noi, o la meravigliosa neve che scorreva sotto i nostri sci.

Quando hai quello spettacolo intorno, sali verso l’inizio delle piste,senti solo il vento, il rumore della tua seggiovia che passa sopra o  sotto le ruote dei tralicci,alzi gli occhi. In un momento ti guardi intorno. Puoi vedere fino a non so neppure quanti chilometri. Tutto sembra lì, a un passo da te, percorri l’intero versante di una montagna che da sotto sembra immensa, in una pista. L’uomo è intervenuto, ovvio, con la modernità degli impianti, con qualche spianata tra i boschi, ma le impronte sulla neve di chissà quali creature, e i boschi intorno sembrano aver accettato il nostro disturbo. Non ci sono parole. 

Poi torni con gli altri, ridi e scherzi, cominci a sciare. Unico problema? Prendere una pista piuttosto che un’altra. Non c’è altro. A nessuno interessa come scii, a nessuno interessa il colore della tua tuta, la marca del tuo scarpone. Qui è solo divertimento.

Qualcuno cade, nulla di che, sorriso sulla faccia, neve tra i capelli. Risata generale.

Poi hai la pettorina. Per un momento ti senti un atleta. Cominci, come sempre a commentare la pista come fossi il telecronista di Rai Sport alla Coppa del Mondo. Un po’ come al giro d’Italia, pochissimi vanno in bicicletta per cinquanta settimane, ma poi in quei giorni siamo tutti “gente d’ammiraglia”. Cominciamo a commentare le curve e le porte, le pendenze dei muri, la scorrevolezza dei tratti.

La gara poi ha un aspetto tutto suo. Ognuno dei partecipanti ci tiene, chi per fare bene, chi per godersi un emozione nuova, chi per lo sfottò tra amici, chi solo per divertirsi, tutti per partecipare divertendosi. Le nostre attività sono anche questo. Ogni tanto scendiamo dalle ambulanze, usciamo dagli ospedali, dalle centrali operative e ci godiamo un mondo diverso: mettiamo gli sci, in questo caso. Ma alla base, le ossa di quello che facciamo, il senso che ha alla base, non cambia. Basta guardare per un attimo il Palazzetto dello Sport sabato sera o domenica, per rendersi conto che, per quanto le giacche fossero di colori e simboli diversi, coloro che le vestono hanno lo stesso entusiasmo e la stessa idea che ci accumuna.

Che cielo limpido. Giornate straordinarie. Forse sì, tu, freddo che ci hai tenuto una compagnia quasi morbosa, meritandoti i grazie dalle nostre dita delle mani, dei piedi, delle orecchie e dei nasi che hanno assunto colori che non ti dico! …sì, vabbè… forse il colore dei nasi era anche per le grappe che danno quella marcia in più! Sulle piste si beve con responsabilità! Non è assunzione di alcool, ma semplicemente “tutela della temperatura interna dell’organismo e della lucidità mentale, con conseguenza piena attività del consumatore.”

Il rifugio ha un atmosfera tutta sua. Il rumore degli scarponi mossi goffamente sul legno. I panini, i piatti caldi, che hai quella fame che mangeresti anche l’addetto agli impianti di risalita.
Perché la fame che ti prende quando scii… ha un chè, tanto poi si fa la dieta. Mi han detto…

Anche i risultati finali, le classifiche ci hanno gratificato alla fine. Siamo arrivati tra i primi venti. Non è per niente male.

 

E se l’anno prossimo fossimo più partecipanti? Cosa ne dite?

Prenotiamo?

Che altro potervi dire.. essere Volontari del Soccorso è anche questo.

Andrea B





E se…

3 01 2011

Passate le feste? Bene, allora smaltita la sbornia di auguri e buoni propositi per il nuovo anno cerchiamo un serio argomento di discussione per il nostro spazio virtuale.

Nelle ultime settimane è iniziato un simpatico esperimento letterario in Rete. Si è simulato di essere nel 2015, anno in cui il mondo è percorso da una pericolosa Pandemia che stà mettendo a dura prova l’ umanità (trovate maggiori informazioni qui http://mcnab75.livejournal.com/363846.html e sulla pagina di FaceBook dedicata http://www.facebook.com/pages/Survival-Blog/183736381643017).

Prendendo spunto da questa fantasiosa ipotesi torniamo a noi. Noi siamo quelli a cui si affidano la maggior parte dei cittadini quando stanno male o quando accade qualcosa di eccezionale. Siamo quelli che arrivano quando tutti sono in casa perché fuori il tempo è troppo brutto per uscire, o andiamo nei posti in cui tutti rinunciano perché troppo difficile, di solito lo facciamo perché c’è qualcuno che ha bisogno di noi. Andiamo nei posti dove è accaduto qualcosa di terribile per poter aiutare le persone coinvolte a ricominciare, fornire l’ aiuto che chi è colpito da un disastro naturale spera di ottenere per poter superare l’ emergenza.

Lo facciamo con i nostri mezzi, limitati, ma sorretti dalla nostra voglia di fare che è poi la base del volontariato.

Poi torniamo in Sede dai nostri amici, dalla nostra famiglia, a raccontare la nostra avventura, anche per trovare la forza per andare avanti nonostante tutte le cose brutte che abbiamo visto. Ma questa è la normalità.

Come ci comporteremmo se accadesse qualcosa di veramente grosso? Cercheremo di metterci in salvo? Correremo dai nostri cari? Cercheremmo di fare tutto quello che possiamo per aiutare gli altri?

Dopo avervi lasciato con questo interrogativo leggero vi auguro un buon 2011!

CP